Perché Israele ha voluto aprire un nuovo fronte di guerra con l'Iran?
Le giustificazioni ufficiali – prevenire la bomba atomica e rovesciare il regime degli ayatollah – sembrano deboli o irrealistiche. La guerra infinita surroga una strategia già finita.
Perché Israele ha attaccato l’Iran e provocato una guerra tra i due paesi? Conosciamo le due giustificazioni usate dal governo israeliano: impedire che l’Iran si doti della bomba atomica e far cadere il regime degli ayatollah. Tuttavia, entrambe le giustificazioni sono poco convincenti o non condivisibili.
La presunta minaccia nucleare
Infatti, non ci sono prove evidenti che l’Iran voglia dotarsi dell’arma nucleare e neppure che sia così vicina al traguardo da costituire una minaccia imminente. In questo senso si sono pronunciati Rafael Grossi, direttore generale della Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA) e Tulsi Gabbard, direttrice dell'Intelligence Nazionale USA. Inoltre, Israele può danneggiare il programma nucleare iraniano solo in superficie, perché non dispone delle bunker-buster, le bombe di 14.5 tonnellate necessarie per colpire i siti nucleari sotterranei, né possiede gli aerei adeguati per trasportarle. L’uso di queste armi richiede l’ingresso in guerra degli Stati Uniti. In effetti, ciò è avvenuto stanotte. Gli Stati Uniti hanno bombardato tre siti nucleari iraniani: Fordow, Natanz ed Esfahan, utilizzando bombardieri stealth B-2 e bombe penetranti di grande potenza, in un’operazione militare su larga scala. Secondo il presidente americano Donald Trump, l’attacco sarebbe stato uno “straordinario successo militare” e avrebbe “completamente distrutto” le capacità iraniane di arricchimento dell’uranio. Tuttavia, le dichiarazioni ufficiali iraniane e le prime valutazioni indipendenti raccontano una situazione più complessa.
L’attacco americano - 'Operation Midnight Hammer' - ha inflitto danni pesanti alle infrastrutture fisiche di alcuni siti chiave, ma non ci sono prove che tutte le capacità nucleari iraniane siano state eliminate. L’Iran ha una lunga esperienza nel ricostruire rapidamente le proprie infrastrutture nucleari e potrebbe disporre di materiali, tecnologie e personale in grado di riprendere almeno in parte le attività dopo un periodo di interruzione. L’AIEA non ha segnalato incidenti radiologici, il che indica che il materiale fissile probabilmente non è stato distrutto o disperso in modo catastrofico. Il programma nucleare di un paese non si basa solo sulle strutture fisiche ma anche su conoscenze, scorte di materiali e capacità di ripristino. Secondo l’analisi di Nick Paton Walsh della CNN, il dibattito pubblico sui siti nucleari di Fordow, Natanz e Isfahan può aver indotto Teheran a non lasciare che tutti i suoi segreti nucleari risiedessero lì. Se, come sostiene Israele, il programma nucleare iraniano ha un elemento nascosto, allora sicuramente questo non sarebbe ospitato negli stessi luoghi in cui si aggirano gli ispettori delle Nazioni Unite, come nel caso di Fordow, su cui da giorni si discute pubblicamente su quali bombe americane potrebbero penetrare le sue profonde caverne. Le materie prime necessarie per una bomba nucleare possono essere piccole: basterebbero 20 chilogrammi di uranio altamente arricchito. Gli ingredienti per diversi ordigni starebbero in un minivan. Questo potrebbe essere nascosto ovunque in Iran.
Il cambio di regime
La caduta del regime degli ayatollah non sembra essere un obiettivo più realistico. E neppure sensato se manca la prospettiva di sostituirlo con un ordinamento migliore. Le precedenti guerre occidentali in Medio Oriente, dopo l’11 settembre 2001, depongono a sfavore. I regimi caduti hanno lasciato il posto al caos, la guerra civile, la presa territoriale di potentati terroristici come Al Qaeda e l’Isis. Nel caso dell’Afghanistan, dopo il ritiro americano, il regime caduto, quello dei talebani, è tornato al potere. In questi precedenti, la guerra fu condotta per cielo e per terra. Non si conosce il caso di un regime abbattuto dall’esterno solo con l’intervento dell’aviazione. Ma l’invasione territoriale dell’Iran è impraticabile da parte della sola Israele. Sia per la distanza tra i due paesi, sia per le dimensioni territoriali e demografiche dell’Iran. L’impresa sarebbe molto onerosa anche da parte degli USA. Che se volessero intraprenderla dovrebbero sconfessare in radice il programma elettorale di Donald Trump, American First, sebbene abbiano già iniziato a sconfessarlo con l’attacco notturno ai siti nucleari.
La speranza di indurre la popolazione a ribellarsi al regime mediante i soli bombardamenti aerei è molto antica e non ha mai funzionato. Perché le bombe dell’aggressore straniero colpiscono la stessa popolazione, la rendono più debole, bisognosa di assistenza e protezione, ed anche più solidale con il governo in carica. Del governo degli ayatollah possiamo e dobbiamo dire ogni male, tranne uno: non è un governo fantoccio. A suo detestabile modo, esprime la sovranità e l’indipendenza nazionale dell’Iran.
Se il blocco del programma nucleare iraniano e la caduta del regime degli ayatollah non sono due motivi validi per giustificare l’aggressione israeliana all’Iran, perché velleitari, quale può essere il motivo valido? Per trovarlo, c’è chi torna al 7 ottobre 2023. Dopo l’attacco stragista di Hamas al sud di Israele, il governo israeliano avrebbe deciso di regolare i conti con tutti i suoi nemici facenti parte del cosiddetto asse della resistenza: Hamas a Gaza, Hezbollah in Libano, gli Houthi in Yemen, le milizie sciite in Iraq, la Siria di Assad. E l’Iran, la testa del serpente. Architetto, capo e sostenitore dell’intero asse.
L’argomento passepartout
Dopo la reazione israeliana a Gaza, che ha assunto presto le dimensioni di un grande massacro, Hezbollah ha cominciato a lanciare razzi sul nord di Israele, ma in misura contenuta per evitare lo scontro frontale, pur scontando le rappresaglie. Lo scontro frontale, Israele lo ha rimandato fino al settembre 2024, quando ha deciso di assassinare lo storico leader Hassan Nasrallah e decimare il suo gruppo dirigente. Nel mentre, gli Houthi dallo Yemen colpivano le navi israeliane e occidentali in transito nel Mar Rosso, facendo deviare le rotte commerciali. Invece, l’Iran è rimasto in disparte. Le principali agenzie di intelligence americane e fonti israeliane hanno ripetutamente dichiarato di non avere evidenze dirette che colleghino operativamente l’Iran all’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre 2023. Secondo quanto riportato dal New York Times e da fonti citate dalla CNN, l’intelligence statunitense non ha riscontrato segnali che Teheran, o i suoi alti funzionari, fossero a conoscenza o avessero partecipato alla pianificazione dell’operazione. Anche il consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, Jake Sullivan, ha affermato che non ci sono conferme su un coinvolgimento diretto dell’Iran nella preparazione o nell’approvazione dell’attacco, pur riconoscendo il ruolo di “complice” di Teheran in senso più ampio, per via del sostegno storico a Hamas.
Supposto, però, che Israele si accontenti del “senso più ampio” di una complicità indiretta e generale di Teheran nel 7 ottobre, sufficiente per decidere di voler schiacciare la testa del serpente, perché farlo solo ora, dopo essersi impantanati per 21 mesi nella devastazione di Gaza? E perché continuare a devastare quel poco che di Gaza rimane, insistere nell’affamare e massacrare la popolazione civile palestinese? Oltre a impiegare l’esercito per proteggere i coloni nella Cisgiordania nella loro opera di conquista dei villaggi palestinesi. Dal 7 ottobre 2023, in Cisgiordania mille palestinesi sono stati uccisi.
Nel 1967, per timore di essere attaccato, Israele attaccò preventivamente e sconfisse in sei giorni l’Egitto, la Siria, la Giordania. Se dal 7 ottobre 2023, l’Iran rappresenta il fronte di guerra principale e il conflitto risolutivo, perché disperdere le proprie forze durante un anno e mezzo, disperdendole su 6-7 fronti di guerra secondari?
La mia impressione è che il 7 ottobre, come spiegazione della guerra israeliana all’Iran, funzioni come il bianco o il nero: un colore che sta bene su tutto. Un argomento passepartout, per cercare di ordinare una situazione confusa. Certo, è difficile fare un’analisi della strategia israeliana. E adesso anche di quella americana. Bisogna capire fino a che punto esiste una strategia israeliana. La strategia dovrebbe avere una componente costruttiva. Finora delle azioni israeliane abbiamo visto solo le distruzioni. Poi, cosa e come Israele costruisce? Da Gaza all'Iran. Non si capisce. Perciò, penso che le persone che vogliono giustificare o spiegare Israele, da un punto di vista solidale con Israele (filoisraeliano) si trovino in difficoltà nell’analizzare e finiscano per sostituire l'analisi con la razionalizzazione. Il 7 ottobre è stato un atto terroristico stragistico, molto grave, seppure circostanziato. Un crimine contenuto in un solo giorno. Infatti, lo chiamiamo 7 ottobre. Un attentato stragista tipico delle guerre asimmetriche contro potenze molto più forti, come Israele. Ora è improbabile che Israele possa eliminare d'incanto i suoi nemici, per quanta potenza distruttiva eserciti su di loro. Può indebolirli. Ma più li indebolisce, più le forze sono sproporzionate, più la guerra è asimmetrica, più i nemici si affideranno al terrorismo. Che potrà colpire anche altrove, per esempio le comunità ebraiche della diaspora. E quindi, alla fine, come può tutta la potenza di guerra israeliana prevenire un futuro 7 ottobre?
Gli effetti della guerra più chiari delle cause
Se non troviamo le cause razionali della guerra, possiamo però vedere i fatti e i loro effetti. Per esempio, l’interruzione dei negoziati sul nucleare tra americani e iraniani e il coinvolgimento degli USA nella guerra in Medio Oriente. Israele apre in successione diversi fronti di guerra, anche in modo formidabile, senza mai riuscire a chiuderli. Quando la guerra si incancrena, il governo israeliano apre un nuovo fronte. Strada facendo è arrivato – solo per via aerea – fino a Teheran. Ogni nuovo fronte di guerra – più di tutti l’ultimo – compatta la popolazione israeliana intorno al governo, proprio quando il suo consenso nella società è caduto e alla Knesset sembra rischiare la crisi.
Lo stesso effetto di compattamento intorno a Israele si verifica a livello internazionale, proprio quando finalmente emergono stati europei che dicono di voler riconoscere lo Stato di Palestina; criticano il governo israeliano per il modo disumano in cui tratta la popolazione di Gaza; propongono di rivedere gli accordi commerciali, che a Israele costerebbero perdite per miliardi di euro. Più nulla di tutto questo, anzi Friedrich Merz, il nuovo cancelliere tedesco, ringrazia Israele perché sta facendo il lavoro sporco per tutti noi. L’Iran degli ayatollah non piace all’Occidente e all’Islam sunnita. Contrapporsi all’Iran vincola la solidarietà dei paesi occidentali e quella meno esplicita dei paesi arabi. D’altra parte, l’Iran rimane una preda ambita come grande produttore di petrolio. Come lo era l’Iraq. Motivo per cui, già nel 1953, quando il governo iraniano del primo ministro Mohammad Mossadeq era laico e costituzionale, USA e GB vollero “cambiare regime” con un colpo di stato, che riaffidava il potere al monarca cliente, quello che provocherà la rivoluzione islamista del 1979.
Insieme con l’effetto di compattamento occidentale vediamo l’effetto di oscuramento di Gaza (e della Cisgiordania). Un contesto di guerra regionale, nel quale Israele non potrebbe essere abbandonato dagli Usa e forse neppure dall’Europa, è una condizione molto favorevole per provare a risolvere la questione palestinese mediante la pulizia etnica e il genocidio. Questo, in effetti, ha senso e, dal punto di vista israeliano, è razionale.