Il genocidio dei palestinesi
L'accusa di genocidio a Israele è un'arma retorica per entrambe le parti. Ma viene ormai mossa anche da ong, giornalisti e studiosi dell'Olocausto. La Shoah non è l'unico modello di genocidio.
Lo sterminio di massa dei palestinesi, il blocco degli aiuti alimentari e sanitari, la devastazione infrastrutturale della Striscia di Gaza, commessi dall’esercito israeliano, costituiscono un caso di genocidio? In genere, chi risponde a questa domanda in senso affermativo o negativo, ha in mente il confronto con la Shoah.
Incalzati da molti ascoltatori che accusano Israele di genocidio, rispondono in senso negativo, vari conduttori del programma radiofonico Prima Pagina su Radio 3. Alberto Faustini, Salvatore Merlo, Federico Fubini, Sofia Ventura. Questi giornalisti riconoscono che Israele a Gaza è andato oltre il diritto alla difesa e ha compiuto crimini di guerra, ma rifiutano di accostare lo stato ebraico, il popolo ebraico alla responsabilità del genocidio, ritenendo l’accusa blasfema, perché Israele è l’erede delle vittime dell’Olocausto.
Questa è, in sostanza, la posizione espressa da Liliana Segre, testimone della Shoah e senatrice a vita.
Il genocidio secondo Liliana Segre e Anna Foa
Liliana Segre, pur esprimendo repulsione per il governo di Benjamin Netanyahu e riconoscendo la gravità delle azioni israeliane a Gaza, che definisce come “crimini di guerra e crimini contro l’umanità”, respinge la definizione di genocidio. Secondo la senatrice, i due elementi essenziali del genocidio sono:
La pianificazione dell’eliminazione totale, almeno nelle intenzioni, di un gruppo etnico o sociale.
L’assenza di un rapporto funzionale con una guerra, cioè il genocidio non avviene come conseguenza di uno scontro bellico, ma come fine a sé stesso.
La posizione di Liliana Segre, specie l’anticipazione del suo ultimo libro, pubblicata dal Corriere della Sera il 05 maggio 2025, è valorizzata dalla storica Anna Foa nel suo intervento su La Stampa del 06 maggio 2025. Anna Foa invita Israele a fermarsi e ad ascoltare la voce di Liliana Segre, che pur rifiutando il termine genocidio per motivi giuridici e storici, non minimizza affatto la gravità delle azioni israeliane, riconoscendone la natura criminale dal punto di vista del diritto internazionale. Poi, aggiunge:
Personalmente, credo che la questione del genocidio possa essere discussa, analizzata. E man mano che la guerra contro Gaza diventa più pesante e sanguinosa sono sempre più incline ad accettarlo, con grande infinito dolore. Ma credo che focalizzare il discorso su questo termine e sul suo uso sia oggi anche un modo per evitare di approfondire l’analisi di quanto succede e per sventolare invece dei vessilli propagandistici, da ambedue le parti, quella dei propal e quella dei sostenitori del governo israeliano.
Il genocidio come reciproca arma retorica
L'accusa di genocidio a Israele può avere, in effetti, una doppia valenza retorica. I sostenitori dei palestinesi la usano per generare impatto simbolico, attirando l'attenzione internazionale e mobilitandola per legittimare la causa palestinese e delegittimare Israele. I sostenitori di Israele, invece, sfruttano questa accusa per rappresentare lo stato ebraico come vittima di una campagna diffamatoria. L’accusa sarebbe un'esagerazione o una menzogna. Come tale, torna utile per minimizzare le responsabilità israeliane, presentando le azioni militari solo come risposte legittime al terrorismo.
Concentrarsi sull'accusa di genocidio può, quindi, diventare un modo per evitare il dibattito sulle responsabilità concrete e sulle violazioni del diritto internazionale, trasformando il termine in un vessillo propagandistico per entrambe le parti. Israele utilizza questa retorica anche per influenzare l'opinione pubblica occidentale, promuovendo leggi che limitino la discussione pubblica e mantenendo il controllo sulla narrazione mediatica.
La Shoah non è l’unico modello di genocidio
Ma a differenza delle precedenti campagne militari israeliane, adesso l'accusa di genocidio supera i movimenti propalestinesi. L'articolo "Il dolore disumano dei civili. Le macerie di un genocidio" del Corriere della Sera (04/05/2025), firmato da Lorenzo Cremonesi, assume una posizione chiara: definisce quanto accade a Gaza come "genocidio" compiuto da Israele. L'autore invita a superare le esitazioni nell'uso del termine e critica la cautela mediatica occidentale e il timore dell'accusa di antisemitismo. Secondo Cremonesi, i fatti - attacchi contro civili, blocco umanitario, distruzione sistematica, e uccisione di operatori umanitari - giustificano il termine genocidio.
Lorenzo Cremonesi presenta il libro "Genocidio" che analizza la protesta contro i crimini israeliani, interpretati come piano di "pulizia etnica". L'autrice è Rula Jebreal, giornalista palestinese nata a Haifa (1973), cittadina italiana e docente all'università di Miami, dove ha tenuto corsi sui genocidi: Ruanda, ex Jugoslavia, armeni ed ebrei. Jebreal ricorda che il termine "genocidio" fu coniato dal giurista ebreo Raphael Lemkin, portando al dibattito ONU del 1948. Sottolinea che non deve sempre prevalere il "modello dell'Olocausto": ogni genocidio ha aspetti diversi, ma tutti comportano la distruzione deliberata di un gruppo. Il processo inizia con la "disumanizzazione del nemico". Per i palestinesi si aggiunge la beffa di pagare per i crimini che l'Europa ha commesso contro gli ebrei.
Il genocidio secondo le Nazioni Unite
La definizione giuridica di genocidio risale al 9 dicembre 1948. Fu deliberata dall'Assemblea generale dell’ONU nella Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, scritta con il contributo di Raphael Lemkin. L'articolo II della Convenzione definisce esplicitamente il genocidio nell'ambito del diritto internazionale:
Per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale:
(a) uccisione di membri del gruppo;
(b) lesioni gravi all'integrità fisica o mentale di membri del gruppo;
(c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale;
(d) misure miranti a impedire nascite all'interno del gruppo;
(e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.
Possiamo, quindi, valutare quale di questi atti non è compreso nell’azione militare israeliana nella Striscia di Gaza.
La denuncia del Sudafrica
Il 29 dicembre 2023, il Sudafrica ha denunciato Israele alla Corte Internazionale di Giustizia per violazione della Convenzione sul genocidio durante le operazioni a Gaza. Le accuse includono: uccisione di massa (oltre 23.000 vittime, 70% donne e bambini); danni fisici e mentali attraverso bombardamenti e privazione di risorse; dislocamento forzato di 1,9 milioni di civili con distruzione di abitazioni; attacchi al sistema sanitario; imposizione di condizioni per impedire nascite tramite blocco degli aiuti e distruzione dei servizi neonatali.
Il Sudafrica sostiene che questi atti siano commessi con intento genocida, citando dichiarazioni israeliane sulla "distruzione totale" di Gaza. In attesa della sentenza definitiva, la Corte ha ordinato a Israele di evitare atti genocidi, prevenirne l'incitamento al genocidio, garantire assistenza umanitaria e conservare le prove.
I rapporti delle organizzazioni internazionali
L'accusa di "genocidio" o "atti genocidiari", nella devastazione israeliana di Gaza, è documentata da organizzazioni internazionali. Il 13 marzo 2025, la Commissione d'inchiesta ONU sui Territori Palestinesi ha pubblicato il rapporto "More than a human can bear", presentato all'Alto Commissariato per i diritti umani. Il documento conclude che Israele ha sistematicamente utilizzato violenza sessuale, riproduttiva e di genere contro palestinesi dai giorni successivi al 7 ottobre 2023.
Secondo la Commissione, queste pratiche fanno parte di una strategia per minare l'autodeterminazione palestinese e includono: distruzione delle strutture sanitarie riproduttive a Gaza; impedimento all'accesso alle cure, con conseguenze su nascite e mortalità materna; violenze sessuali, denudamenti forzati, torture e abusi con tolleranza delle autorità israeliane; atti "calcolati per provocare la distruzione fisica dei palestinesi e impedire le nascite", rientrando così nelle categorie di atti genocidi secondo le convenzioni internazionali.
Oltre la Commissione d’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite, altre organizzazioni internazionali accusano Israele di genocidio per le sue azioni militari a Gaza.
Amnesty International ha pubblicato diversi rapporti in cui conclude che Israele ha commesso e sta continuando a commettere genocidio contro la popolazione palestinese di Gaza. Amnesty documenta uccisioni di massa, gravi danni fisici e mentali, e la deliberata imposizione di condizioni di vita volte a distruggere la popolazione, indicando un intento specifico di distruzione fisica del gruppo palestinese.
Human Rights Watch (HRW) ha accusato Israele di atti di genocidio e di aver creato deliberatamente condizioni per la distruzione di parte della popolazione di Gaza, privando i civili di accesso all’acqua e causando migliaia di morti. HRW sostiene che queste azioni costituiscano crimini contro l’umanità e atti di genocidio.
Medici Senza Frontiere (MSF) ha denunciato la condotta di guerra israeliana, parlando di atti di genocidio e pulizia etnica nella Striscia di Gaza.
Euro-Mediterranean Human Rights Monitor ha pubblicato rapporti che definiscono le azioni di Israele a Gaza un genocidio, riportando migliaia di morti e feriti, la maggior parte dei quali donne e bambini.
Le massime autorità negli studi sul genocidio
L’accusa di genocidio a Israele è, inoltre, sostenuta da importanti studiosi, che possiamo considerare tra le massime autorità in materia di studi sul genocidio.
Omer Bartov. Ex militare dell’IDF al tempo della guerra dello Yom Kippur e storico israeliano-americano esperto di genocidio, Bartov riconosce la gravità delle azioni israeliane a Gaza e parla di una situazione senza precedenti, con una combinazione di “azioni genocide, pulizia etnica e annessione della Striscia di Gaza”. Pur invitando alla prudenza nell’uso del termine genocidio per motivi giuridici, Bartov sottolinea che le violazioni del diritto internazionale umanitario da parte di Israele sono evidenti e che la società israeliana mostra una crescente indifferenza verso la sofferenza dei civili palestinesi. Egli considera che l’intento di rendere Gaza inabitabile e distruggere le istituzioni vitali della popolazione palestinese possa configurare un genocidio. Bartov denuncia anche la complicità delle potenze occidentali nel permettere questa situazione.
Amos Goldberg. Professore di Storia dell’Olocausto presso l’Università Ebraica di Gerusalemme, sostiene con fermezza che ciò che Israele sta compiendo a Gaza è un genocidio. Egli spiega che Gaza «non esiste più» come società e comunità coesa, e che le azioni israeliane – tra cui uccisioni, fame, distruzione sistematica e assedio – corrispondono agli schemi riconosciuti di genocidio. Goldberg sottolinea che il 7 ottobre 2023, con l’attacco di Hamas, è avvenuta una catastrofe e un trauma profondo per Israele, ma la risposta israeliana è stata «completamente sproporzionata» e nessun crimine, per quanto atroce, può giustificare un genocidio. Egli colloca il conflitto nel contesto più ampio della Nakba, dell’occupazione e dell’apartheid, che contribuiscono a comprendere il ciclo di violenza, senza però giustificarlo.
Raz Segal. Professore e studioso israeliano esperto di genocidio e studi sull'Olocausto, definisce la guerra israeliana contro Gaza un "caso di genocidio da manuale". Egli sottolinea che la violenza israeliana contro i palestinesi è parte di un sistema strutturale e sistemico, radicato sin dalla creazione dello Stato di Israele, e fa parte di un progetto sionista di colonialismo di insediamento che mira a impossessarsi della terra e a eliminare la popolazione indigena. Segal evidenzia che le azioni israeliane, inclusi bombardamenti massicci, assedio, distruzione di ospedali e infrastrutture, e la spinta a rendere Gaza inabitabile, costituiscono una campagna di "terra bruciata" che mira a una nuova Nakba e a una pulizia etnica totale della Striscia di Gaza e dell’intera Palestina occupata.
Martin Shaw. Sociologo ed esperto di genocidio, Shaw ha collegato la Nakba del 1948 a elementi di genocidio e ha suggerito di rivedere la definizione classica di genocidio, in particolare il requisito dell’intento specifico, per includere forme più ampie di distruzione sistematica di gruppi. Shaw afferma che, a suo avviso, a Gaza è in corso un genocidio, anche se in futuro dovesse emergere che gli eventi non soddisfano completamente i requisiti legali di tale crimine. Secondo Shaw, la combinazione di uccisioni indiscriminate, distruzione sistematica, espulsioni di massa, sfollamenti, carestia deliberata, esecuzioni, cancellazione di università e istituzioni culturali, repressione delle élite (compresa l’uccisione di giornalisti) e la disumanizzazione costante dei palestinesi costituisce un quadro che rientra nella definizione storica e sociologica di genocidio: la distruzione intenzionale e consapevole dell’esistenza palestinese a Gaza. Shaw distingue tra la definizione legale e storica di genocidio, spiegando che spesso si tratta di un processo che culmina in uccisioni di massa, ma che nasce da campagne di disumanizzazione che possono durare decenni. Secondo lui, la distruzione della “Gaza palestinese” come entità geografica, politica, culturale e umana è già avvenuta
A. Dirk Moses. Studioso di genocidio e relazioni internazionali, affronta la guerra israeliana a Gaza mettendo in discussione la centralità del concetto legale di genocidio basato sull’“intento” specifico di distruggere un gruppo in quanto tale, come previsto dalla Convenzione ONU. In un articolo scritto all’inizio della guerra, Moses sostiene che lo standard legale dell’intento è così elevato da essere difficilmente dimostrabile in tribunale e che, pertanto, insistere esclusivamente sul concetto di genocidio può essere fuorviante. Secondo Moses, anche senza la prova di un intento genocidario formale, Israele sta comunque commettendo crimini moralmente riprovevoli, guidati da una logica di “sicurezza permanente” che giustifica violenze di massa e distruzione sistematica. Egli sottolinea che la disumanizzazione decennale dei palestinesi e il clima politico creato dopo il 7 ottobre 2023 hanno prodotto una situazione in cui si consumano crimini di massa che possono configurarsi come genocidio o pulizia etnica, anche se non necessariamente da un piano unico e inequivocabile. Moses inoltre evidenzia come la discussione sull’intento genocidario sia centrale ma anche problematica, perché i crimini di massa emergono spesso da processi storici e culturali complessi, non da decisioni uniche e pianificate. In questo senso, la distruzione della società palestinese a Gaza è già in atto, indipendentemente dalla definizione legale definitiva. Infine, Moses critica anche le giustificazioni israeliane che paragonano i bombardamenti di Gaza a quelli alleati su Dresda durante la Seconda guerra mondiale, evidenziando come tale retorica sia usata per legittimare una violenza estrema contro i civili palestinesi.
Accademici che negano il genocidio palestinese
Alcuni studiosi, soprattutto in contesti accademici israeliani e tedeschi, hanno esplicitamente negato che le azioni di Israele a Gaza costituiscano genocidio. In un evento accademico del dicembre 2024 organizzato dall’Istituto Accademico Israeliano della Galilea Occidentale, professori come Alvin Rosenfeld (Università dell’Indiana), Verena Buser (storica tedesca) e Lars Rensmann (Università di Passau) hanno criticato e attaccato apertamente i colleghi che definiscono genocidio quanto accade a Gaza, sostenendo che tali accuse ignorano la validità dei dati sulle vittime e facendo riferimento a presunte “sfide logistiche” della guerra piuttosto che a un intento genocidario. Verena Buser, ad esempio, ha sostenuto che le cifre delle vittime palestinesi non distinguono tra combattenti e civili e ha messo in dubbio l’esistenza di una carestia deliberata, attribuendo le difficoltà a problemi logistici piuttosto che a una politica intenzionale di distruzione. Nonostante queste voci, la tendenza tra molti studiosi di genocidio e Olocausto è oggi quella di riconoscere la plausibilità della definizione di genocidio applicata a Gaza, come sottolineato anche dalla Corte Internazionale di Giustizia e da numerosi esperti internazionali
L’intenzione del genocidio
Sul piano giuridico, l’aspetto più critico è riuscire a dimostrare l’intenzione esplicita a commettere genocidio. A tal, proposito, Omer Bartov, in un articolo sul Guardian del 13 agosto 2024, riporta le dichiarazioni di dirigenti politici e militari israeliani.
Due giorni dopo l'attacco di Hamas, il ministro della Difesa Yoav Gallant dichiarò: "Stiamo combattendo contro animali umani e dobbiamo agire di conseguenza", aggiungendo poi che Israele avrebbe "fatto a pezzi un quartiere dopo l'altro a Gaza". L'ex primo ministro Naftali Bennett confermò: "Stiamo combattendo contro i nazisti". Il primo ministro Benjamin Netanyahu esortò gli israeliani a "ricordare ciò che Amalek vi ha fatto", alludendo all'invito biblico a sterminare "uomini, donne, bambini e neonati" di Amalek. In un'intervista radiofonica, disse di Hamas: "Non li chiamo animali umani perché sarebbe un insulto agli animali". Il vicepresidente della Knesset Nissim Vaturi scrisse su X che l'obiettivo di Israele dovrebbe essere "cancellare la Striscia di Gaza dalla faccia della Terra". Alla TV israeliana dichiarò: "Non ci sono persone estranee... dobbiamo entrare e uccidere, uccidere, uccidere. Dobbiamo ucciderli prima che uccidano noi". Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha sottolineato in un discorso: "L'opera deve essere completata... Distruzione totale. 'Cancellate il ricordo di Amalek da sotto il cielo'". Avi Dichter, ministro dell'Agricoltura ed ex capo del servizio di intelligence Shin Bet, ha parlato di "scatenare la Nakba di Gaza". Un veterano militare israeliano di 95 anni, il cui discorso motivazionale alle truppe dell'IDF che si preparavano all'invasione di Gaza le esortava a "cancellare la loro memoria, le loro famiglie, madri e figli", ha ricevuto un attestato d'onore dal presidente israeliano Herzog per "aver fornito un meraviglioso esempio a generazioni di soldati". Non c'è da stupirsi che ci siano stati innumerevoli post sui social media da parte delle truppe dell'IDF a Gaza che invitavano a "uccidere gli arabi", "bruciare le loro madri" e "radere al suolo" Gaza. Non si conoscono provvedimenti disciplinari da parte dei loro comandanti.
Il genocidio come soluzione per esclusione
Per quarant'anni, dal massacro di Sabra e Chatila (1982), l’ho pensata come Liliana Segre e i conduttori di Prima pagina. Spesso nell'accusa di genocidio contro Israele percepivo la provocazione di attribuire al "rappresentante" ebraico il crimine di cui quel popolo è stato vittima. Condivido il concetto di "unicità della Shoah", come sostenuto altrove, sebbene ritenga che il significato della sua memoria abbia un valore universale e, quindi, consenta le comparazioni. Oggi sono persuaso che l'azione militare israeliana a Gaza dopo l'attacco di Hamas (7 ottobre 2023) differisca in qualità e quantità dalle precedenti campagne militari, trovando un parallelo solo nella Nakba del 1948. Il massacro di civili nell’ordine delle decine di migliaia, l’uccisione di giornalisti e operatori umanitari, la distruzione sistematica di case, scuole, ospedali, il blocco degli aiuti medici, alimentari e della corrente elettrica, la popolazione presa per fame e sete, i bambini denutriti e scheletrici, come mostrano le foto pubblicate su La Stampa dell’8 maggio 2025.
Quindi, pur rimettendomi al giudizio della Corte Internazionale di Giustizia e degli storici, anch’io sono propenso a credere che quanto stia avvenendo a Gaza sia un genocidio. D’altra parte, Israele non è una cosa sola e in questi anni è governato dall’estrema destra politica e religiosa. Quale che sia l’identità etnica e religiosa del suo popolo, qualsiasi governo nazionalista e suprematista può essere tentato di risolvere un conflitto con la pulizia etnica e il genocidio.
Il conflitto israelo-palestinese ha sulla carta quattro possibili soluzioni.
Lo stato democratico binazionale. Che dal punto di vista israeliano è problematico per la questione demografica, in quanto non garantisce una maggioranza ebraica.
Due popoli, due stati. Che dal punto di vista israeliano è problematico, perché implica la rinuncia dei territori dal valore biblico, ormai colonizzati, che servono anche come zone cuscinetto, fasce di sicurezza, e la coesistenza confinante con uno stato palestinese che potrebbe costituire una minaccia.
Un regime di segregazione. Dove nei territori occupati palestinesi, i coloni israeliani sono sottoposti alla legge civile israeliana e la popolazione palestinese alla legge militare israeliana. Uno status temporaneo e permamente al tempo stesso, non riconosciuto dalla comunità internazionale e sottoposto all’instabilità del terrorismo. Una situazione tollerabile dal punto di vista israeliano fino al 7 ottobre 2023, giorno dell’attacco di Hamas che ha ucciso 1200 israeliani e rapito 250 persone detenute in ostaggio a Gaza.
Quale soluzione rimane dal punto di vista di Israele, o quanto meno del suo nazionalismo più estremo oggi al governo? Solo la pulizia etnica, che non può realizzarsi senza passare per un genocidio.