La strage quotidiana dei palestinesi alla ricerca di cibo
Israele distribuisce alimenti a Gaza solo per compiacere gli Stati Uniti e trasferire la popolazione da nord a sud. Il silenzio europeo obbliga la protesta e l'iniziativa popolare.
I blocchi, la fame, le stragi
Ogni giorno leggiamo la notizia di una nuova strage di palestinesi a Gaza. Uccisi mentre cercano di ottenere un po’ di cibo presso gli hub di distribuzione gestiti dalla Gaza Humanitarian Fondation (GHF), una ONG americana, protetta da contractor statunitensi e soldati israeliani.
Sembra quasi che i palestinesi, affamati dal blocco imposto da Israele, vengano attirati con la promessa di aiuti per poi essere bersagliati e decimati. Ma per quanto crudele sia la repressione israeliana, ci rifiutiamo di credere che si spinga fin lì. Eppure, i fatti si ripetono.
Israele nega. Dice di sparare solo colpi di avvertimento. Oppure afferma di non sapere e promette indagini. O ancora dà la colpa a Hamas. Una strategia ricorrente quando l’IDF è accusata di crimini di guerra: Hamas userebbe i civili come scudi umani, si nasconderebbe sotto scuole e ospedali, si muoverebbe con ambulanze, si travestirebbe da giornalisti, medici, operatori umanitari, funzionari ONU. Tutti regolarmente finiti nel mirino dei soldati israeliani, sempre per “colpa di Hamas”.
Accuse mai provate e mai confermate da osservatori indipendenti. Anche se fossero fondate, resta il fatto che l’IDF uccide donne e bambini al solo sospetto che dietro di loro si nasconda un combattente.
Cosa succede, allora, con la distribuzione del cibo a Gaza? Secondo la versione israeliana, sarebbe Hamas ad aprire il fuoco sui civili o a provocare disordini. Contractor e soldati sarebbero così “costretti” a sparare sulla folla.
È possibile che Hamas maltratti la sua gente se, pur di sfamarsi, accetta lo scatolame offerto da Israele. Ma se le cose stessero così, ciò vorrebbe dire che il sistema di distribuzione degli aiuti della GHF non ha risolto i problemi per i quali dice di essersi imposto. Se non al prezzo di un elevato tributo di sangue palestinese. Con il quale, storicamente, Israele non bada a spese.
In precedenza, Israele aveva accusato l’ONU e le ONG di permettere a Hamas di saccheggiare gli aiuti, rivenderli o distribuirli secondo criteri politici. Ma se saccheggi ci sono stati, non hanno mai compromesso seriamente la regolare distribuzione, durante la quale nessuno veniva ucciso. Le stesse agenzie umanitarie segnalavano piuttosto attacchi ai convogli da parte di bande locali o milizie diverse da Hamas, soprattutto in aree controllate dall’IDF. Inoltre, spesso l’esercito israeliano imponeva ai convogli percorsi pericolosi, vulnerabili agli attacchi.
La funzione politica e militare della GHF
A giugno 2025, è stato lo stesso Netanyahu ad ammettere pubblicamente che Israele sostiene e arma gruppi rivali di Hamas nella Striscia, compresi clan locali e milizie accusate di atti criminali. Lo ha fatto in un video diffuso sui social, in risposta alle accuse dell’ex ministro della Difesa Avigdor Lieberman, che denunciava la consegna di armi a “famiglie criminali” su ordine diretto del premier. La sua giustificazione è stata: “Che cosa c’è di sbagliato? [...] Su consiglio dei responsabili della sicurezza abbiamo attivato clan a Gaza che si oppongono ad Hamas. E cosa c’è di sbagliato in questo? Ci sono solo cose buone: le vite dei soldati israeliani vengono salvate.”
Israele ha davvero interesse a far funzionare la propria “operazione umanitaria”? Forse, ma solo finché serve a legittimare la sua offensiva militare.
Ricordiamo che prima del 7 ottobre 2023, Israele permetteva l’ingresso di 500 camion di aiuti al giorno, il minimo necessario a evitare la denutrizione di oltre due milioni di abitanti tenuti sotto assedio dal 2005. Dopo il 7 ottobre, il governo israeliano ha criminalizzato l’UNRWA, ridotto drasticamente gli accessi, bloccato convogli, imposto controlli minuziosi per escludere qualsiasi materiale “utile a Hamas”. Ogni tanto, allentava la morsa per compiacere le pressioni americane.
Dal 2 marzo 2025, in piena tregua, il governo israeliano ha imposto un blocco totale degli aiuti per forzare Hamas a liberare subito tutti gli ostaggi. In seguito, dopo la ripresa dei bombardamenti il 19 marzo, ha giustificato il blocco con la necessità di impedire saccheggi. Intanto, faceva proprio il cosiddetto “Piano Trump” per ricostruire Gaza e trasformarla in una riviera. Cioè, per espellere i palestinesi dalla Striscia.
Ma a maggio 2025, nessun paese arabo ha accettato di accogliere due milioni di profughi. E sui giornali occidentali sono apparse le foto di bambini palestinesi ridotti a scheletri.
A quel punto, gli USA hanno imposto a Israele di istituire un nuovo sistema di distribuzione. Netanyahu lo ha accettato, non per necessità umanitarie, ma per salvare il sostegno occidentale all’operazione militare israeliana. Nel contempo, ha autorizzato la costruzione di 22 nuovi insediamenti in Cisgiordania, per trattenere nel suo governo l’estrema destra contraria agli aiuti a Gaza.
Oggi però, l’estrema destra torna alla carica. Il ministro ultranazionalista Bezalel Smotrich ha minacciato di dimettersi se non fossero state adottate misure per impedire che gli aiuti raggiungessero Hamas. In risposta, Netanyahu ha ordinato all’IDF di elaborare entro 48 ore un piano per evitare che gli aiuti venissero “rubati”. Nell’attesa, il governo ha sospeso le consegne. È possibile che questo nuovo blocco delle consegne, sia in realtà una risposta del governo israeliano alla notizia plausibile di un’importante iniziativa autonoma delle comunità locali di Gaza, che avrebbero organizzato con successo la consegna di aiuti umanitari senza la supervisione israeliana, utilizzando meccanismi di protezione popolare per evitare saccheggi, caos e attacchi israeliani.
L’ONU e le associazioni umanitarie si sono rifiutate di collaborare con la distribuzione degli aiuti israeliana, perché perché ritengono che l’assistenza umanitaria nei teatri di guerra debba rispettare rigorosamente i principi di imparzialità, umanità, neutralità e indipendenza, criteri che Israele non può garantire in questo contesto. Lo stesso presidente esecutivo della GHF, Jake Wood, ex marine statunitense, si è dimesso proprio perché ha ritenuto che la fondazione non potesse rispettare “rigorosamente i principi umanitari di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza”
La nuova ONG creata da USA e Israele è lo strumento di una delle parti belligeranti, di una potenza occupante. I contractor e i soldati israeliani incaricati di proteggerla, legittimamente considerati obiettivi militari, sparano a tutto ciò che si muove “in modo sospetto”.
Il nuovo sistema concede la sopravvivenza a condizioni arbitrarie. Cibo scarso, niente medicinali o prodotti igienici. Neppure il latte in polvere per i neonati. Migliaia di camion ONU restano bloccati oltre il confine, mentre gli hub GHF – solo quattro in tutta la Striscia, contro i 400 precedenti hub dell’ONU – costringono la popolazione a spostarsi per chilometri, attraversando zone militari off-limits dove si spara a vista.
I punti di distribuzione funzionano a orari rigidi, e a esaurimento scorte. Chi arriva tardi resta a mani vuote. Si formano calche fin dall’alba, si scatena la competizione per pochi pacchi, si verificano rapine ai danni di chi tenta di tornare a casa con un po’ di cibo. Se la folla si muove fuori orario o fuori percorso, l’IDF apre il fuoco.
La reazione etica e popolare
Risultato: in meno di un mese, 500 palestinesi uccisi, 4000 feriti. Un eccidio che, anche se non intenzionale, mostra come l’IDF tratti i palestinesi alla stregua di formiche. Da schiacciare senza pensarci. Eppure, né USA né Israele hanno ritenuto di dover modificare il loro sistema. Quando la confusione diventa eccessiva, sospendono gli aiuti per qualche giorno.
Questo sistema, oltre a produrre morti, favorisce anche il trasferimento forzato della popolazione dal nord all’estremo sud, dove si concentrano gli hub. Il cibo diventa così strumento di pulizia etnica. E la guerra contro l’Iran ha coperto tutto questo con una nuova coltre di silenzio. Dopo le proteste di maggio, l’Europa tace di nuovo.
In questa assenza totale dei governi, restano solo la protesta e l’iniziativa popolare. La Freedom Flotilla e la marcia umanitaria verso Rafah; le manifestazioni di piazza, come quella del 7 giugno a Roma; le campagne di boicottaggio etico, come quella promossa da Paola Caridi: “Io non compro il genocidio”.
Riferimenti:
05.06.2025 ‘Death and hunger’: Videos, expert analysis and witnesses point to Israeli gunfire in Gaza aid site shooting - CNN
20.06.2025 ‘The Hunger Games’: Inside Israel’s aid death traps for starving Gazans - +972 Magazine
24.06.2025 Perché la distribuzione del cibo nella Striscia di Gaza è diventata così pericolosa - Il Post
27.06.2025 'It's a Killing Field': IDF Soldiers Ordered to Shoot Deliberately at Unarmed Gazans Waiting for Humanitarian Aid - Haaretz - traduzione di Adriano Sofri
29.06.2025 Gaza : enquête sur une distribution alimentaire qui a tourné à la fusillade contre des civils - Le Monde
30.06.2025 Come funziona la distribuzione di aiuti che uccide i palestinesi - Cecilia Sala