L'aggressiva campagna diffamatoria contro Francesca Albanese
Intensificata dopo l'ultimo rapporto ONU sull'economia del genocidio, le accuse infondate contro la giurista italiana mirano a intimidire e delegittimare chi documenta gravi crimini e complicità.
In reazione alla pubblicazione del rapporto ONU “Da economia dell’occupazione a economia del genocidio”1, redatto dalla relatrice speciale Francesca Albanese, sulla complicità di molte imprese occidentali nell’occupazione dei Territori Palestinesi e nel genocidio di Gaza, si è intensificata l’aggressiva campagna di diffamazione contro l’autrice. Il segretario di stato USA Marco Rubio ha annunciato sanzioni contro Francesca Albanese, motivate dall’accusa di aver preso di mira importanti aziende americane e dalla sua collaborazione con la Corte Penale Internazionale, a cui USA e Israele non aderiscono. Se attuate, tali misure, oltre a essere un tentativo di intimidazione, potrebbero limitare il suo lavoro, ad esempio attraverso restrizioni finanziarie e di viaggio. Soprattutto violerebbero l’immunità funzionale dei funzionari ONU nell’esercizio delle loro funzioni (Convenzione ONU, 1946). Israele, dal canto suo, accusa Albanese di parzialità, antisemitismo e sostegno al terrorismo, chiedendone con gli USA la rimozione dall’incarico ONU. Questa campagna è amplificata da giornalisti e profili social filo-israeliani. Vediamo ora nel dettaglio le principali accuse mosse contro Francesca Albanese.
L’accusa di antisemitismo
L’accusa di antisemitismo è molto spesso rivolta da Israele e i suoi sostenitori a chi difende i diritti dei palestinesi. È stata quindi rilanciata contro Francesca Albanese dopo la pubblicazione del suo ultimo rapporto. Analizziamola.
Nel 2014, Albanese scrisse su Facebook che gli Stati Uniti erano 'prigionieri della lobby ebraica', riferendosi all’influenza dei gruppi filo-israeliani sulla politica estera americana. Il Times of Israel e organizzazioni come UN Watch hanno definito la frase un "stereotipo antisemita", paragonandola alla teoria del complotto ebraico. Albanese ha ammesso di aver usato un termine "improprio e generalizzato", spiegando di volersi riferire solo a gruppi di pressione pro-Israele (come AIPAC), non agli ebrei in generale. Si è scusata pubblicamente nel 2022, affermando di aver compreso solo dopo quanto l'espressione fosse "dannosa e fuorviante". In effetti, l’espressione "lobby ebraica" evoca stereotipi secolari sugli ebrei che controllano segretamente i governi. Perciò, l'IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance) la include tra gli esempi di antisemitismo: "Accusare gli ebrei di controllare i media, l'economia o la politica". Si tratta di una generalizzazione indebita: parlare di "lobby ebraica" (anziché "lobby filo-israeliane") implica che tutti gli ebrei sostengano Israele, quando molti ebrei (come Jewish Voice for Peace) criticano le sue politiche. Lobby filo-israeliane si riferisce invece a gruppi specifici (come AIPAC, Democratic Majority for Israel, o Christians United for Israel), senza generalizzare sugli ebrei. E le citazioni possono basarsi su dati verificabili. L'AIPAC spende decine di milioni in lobbying (OpenSecrets.org) con profitto. Nel 2024, il Congresso USA ha approvato $14 miliardi in aiuti militari a Israele con ampio sostegno bipartisan. È a questa pratica di lobbyng che voleva riferirsi Francesca Albanese.
L’accusa di demonizzare Israele
Anche questa accusa vuole insinuare motivazioni antisemite. Le relazioni ONU redatte da Francesca Albanese e alcune sue dichiarazioni pubbliche sono stati bollate come "demonizzazione di Israele", una forma di antisemitismo secondo la definizione dell'IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance). Per esempio: Albanese ha paragonato la retorica israeliana su Gaza a quella nazista sui ghetti ebraici, suscitando le proteste israeliane. Francesca Albanese sostiene che criticare le politiche israeliane non è antisemitismo, ma un dovere legale e morale in quanto Relatrice ONU. 65 accademici ebrei hanno difeso questa distinzione in una lettera aperta.
Il paragone tra la retorica israeliana su Gaza e quella nazista verso i ghetti ebraici costituisce una "demonizzazione" antisemita o una critica legittima, seppur dura? Bisogna valutare le affermazioni e il contesto del discorso della relatrice ONU. Nel 2024, Francesca Albanese ha osservato che alcuni leader israeliani (Bezalel Smotrich, Itamar Ben-Gvir) hanno usato termini disumanizzanti verso i palestinesi ("animali", "cancro da eradicare"), paragonandoli alla retorica nazista che precedeva le deportazioni. Non ha detto "Israele uguale Terzo Reich", ma ha messo in guardia contro meccanismi linguistici simili a quelli storici che portano a crimini di massa. Se un linguaggio genocidario è stato usato, va denunciato. Rapporti ONU e HRW documentano da anni discorsi di odio di esponenti israeliani verso i palestinesi, con paralleli lessicali con altri genocidi (non solo l’Olocausto).
Descrivere la retorica e il comportamento del generale Mladić e dell’esercito serbo-bosniaco a Srebrenica nel 1995 potrebbe essere definito “demonizzante” dai loro sostenitori, nonostante le prove dei crimini. Una dinamica che risuona nel disconoscimento del genocidio di Srebrenica da parte di Israele. Allo stesso modo, i sostenitori di qualsiasi attore accusato di gravi violazioni tendono a etichettare le critiche come “demonizzanti” pur di respingerle.
L’accusa di essere legata a Hamas
In un'intervista a Reuters (ottobre 2023), Albanese ha definito gli attacchi del 7 ottobre "una risposta all'oppressione israeliana", sottolineando il contesto storico dell'occupazione. Questo è stato interpretato dal governo israeliano e Middle East Monitor come una giustificazione indiretta di Hamas. Alcuni media israeliani l'hanno accusata di "omissione di condanna" iniziale, nonostante successivi chiarimenti. Francesca Albanese ha ripetutamente condannato gli attacchi contro i civili, anche in dichiarazioni pubbliche e rapporti ONU, ma insiste che una condanna non esclude l'analisi delle cause strutturali del conflitto. La sua posizione riflette l'approccio di molti esperti di diritti umani: condannare la violenza senza ignorare il contesto (occupazione, blocco di Gaza, violazioni sistematiche).
Francesca Albanese è altresì accusata di collaborare con ONG palestinesi legate a Hamas. In questo senso, Israele considera organizzazioni come Al-Haq e Addameer, affiliate al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP, gruppo marxista ostile a Hamas ma anch'esso designato come "terrorista" da Israele). Fonti israeliane sostengono che queste ONG abbiano legami indiretti con Hamas attraverso reti di sostegno alla resistenza armata. Al-Haq e Addameer sono ONG palestinesi storicamente riconosciute da ONU, UE e organizzazioni internazionali per i diritti umani (Amnesty International). Francesca Albanese, come Relatrice Speciale, collabora con fonti locali per documentare violazioni, pratica standard nel diritto internazionale. Israele nega regolarmente l'accesso a investigatori indipendenti, rendendo queste collaborazioni necessarie. Nel 2021, Israele ha designato 6 ONG palestinesi come "terroriste", ma l'UE e l'ONU hanno chiesto prove non fornite. Francesca Albanese (come i suoi predecessori) è spesso presa di mira da Israele e gruppi pro-Israele per la sua focalizzazione sulle violazioni israeliane. Nel 2022, Israele le ha negato l'ingresso nei Territori Palestinesi. Mentre le sue dichiarazioni sono scrutinizzate, figure israeliane che giustificano violenze contro palestinesi (commenti su "Gaza da cancellare") raramente affrontano conseguenze simili. Le accuse di "legami con Hamas" sono quindi più un tentativo di delegittimare il suo lavoro che prove concrete. Francesca Albanese adotta un approccio critico verso Israele comune nel diritto internazionale, ma il conflitto politico rende ogni analisi contestuale suscettibile di strumentalizzazione.
L’accusa di aver negato gli stupri del 7 ottobre
Francesca Albanese è stata accusata da alcune fonti filoisraeliane e da esponenti del governo israeliano di aver "negato" o "minimizzato" gli stupri e le violenze sessuali commesse da Hamas durante gli attacchi del 7 ottobre 2023.
In un post su X/Twitter (26 novembre 2023), Albanese ha scritto: "Le atrocità del 7 ottobre devono essere investigate, comprese le accuse di violenza sessuale. Ma dobbiamo evitare generalizzazioni che demonizzano un intero popolo". Alcuni interpretarono questo come un tentativo di mettere in dubbio le prove degli stupri (es. The Times of Israel, membri del Likud). Altri, come l’ambasciatore israeliano all’ONU Gilad Erdan, l’hanno accusata di "silenzio complice" per non aver menzionato subito le violenze sessuali nei suoi rapporti. Alcuni media israeliani (es. Ynet) hanno sostenuto che, poiché Albanese non ha condannato esplicitamente gli stupri nelle prime settimane, stesse "negando" la cosa. Un articolo del Jerusalem Post (dicembre 2023) l’ha definita "complicità morale" con Hamas.
In un’intervista a Fanpage (gennaio 2024), Albanese ha affermato: "Condanno senza riserve ogni forma di violenza sessuale. Quello che è accaduto il 7 ottobre è orribile e deve essere indagato". Ha aggiunto che il suo iniziale silenzio era dovuto alla mancanza di prove dirette (all’epoca, i resoconti si basavano su testimonianze secondarie e non su indagini ONU). Nel suo rapporto all’ONU (marzo 2024), ha incluso un riferimento alle "gravi accuse di violenza di genere", chiedendo un’inchiesta indipendente. Ha sottolineato che la sua cautela iniziale non era negazionismo, ma il rispetto del principio di "verificabilità" nei diritti umani.
Israele ha usato le violenze sessuali del 7 ottobre come argomento chiave per la sua campagna internazionale contro Hamas. Chiunque non le condanni immediatamente e senza riserve viene spesso accusato di complicità. Albanese, già criticata per la sua attenzione alle violazioni israeliane, è stata percepita come "scettica" per motivi politici. Anche organizzazioni come UN Women sono state accusate di lentezza nel condannare gli stupri, scatenando polemiche simili. Alcuni esperti umanitari (HRW, Amnesty) pur confermando le violenze, chiedono indagini più rigorose, data la strumentalizzazione del tema in guerra. Francesca Albanese non ha mai negato gli stupri, ma ha inizialmente evitato di parlarne senza prove consolidate, aderendo a standard tipici del diritto internazionale. Le accuse di "negazionismo" sono più un tentativo di screditare la sua figura che una critica fondata.
Le accuse ad Albanese non sono eccezionali, ma parte di una strategia già collaudata contro chi denuncia l’occupazione israeliana.
Stesse accuse ai precedenti relatori ONU
I predecessori di Francesca Albanese nel ruolo di Relatore Speciale ONU per i diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati hanno subito critiche, pressioni e campagne di delegittimazione da parte di Israele e gruppi filoisraeliani, in modo simile.
Richard Falk (2008-2014) - Paragonò le politiche israeliane a quelle dell'apartheid sudafricano e definì l'assedio di Gaza un "crimine contro l'umanità". Fu accusato di antisemitismo per un post su un cartoon giudicato offensivo (criticò poi la strumentalizzazione dell'antisemitismo per zittire critiche a Israele). Israele gli negò l'ingresso nei Territori Occupati nel 2012, definendolo "persona non grata". Gli USA (allora sotto Obama) chiesero le sue dimissioni. ONG filo-israeliane lo bollarono come "anti-israeliano", ma gruppi per i diritti umani lo difesero.
Makarim Wibisono (2014-2016) - Pur essendo più moderato, Israele rifiutò di cooperare con lui, impedendogli di visitare Gaza e la Cisgiordania. Si dimise dopo due anni, dichiarando di non poter svolgere il suo mandato senza accesso.
Michael Lynk (2016-2022) - Sostenne sanzioni contro Israele (BDS) per le violazioni dei diritti umani. Definì l'occupazione israeliana "colonialismo di insediamento". Israele lo accusò di parzialità e rifiutò di collaborare con lui. Il Consiglio per i Diritti Umani dell'ONU rinnovò il suo mandato, sostenendo la necessità di indipendenza.
Israele attacca sistematicamente i Relatori Speciali ONU sulla situazione nei Territori Palestinesi Occupati.
Il mandato ONU di relatore speciale sulla situazione dei Territori Palestinesi è per definizione critico verso l'occupazione. La posizione è stata creata nel 1993 proprio per monitorare le violazioni nei Territori Occupati. Israele rifiuta questa impostazione, sostenendo che sia pregiudizialmente ostile. Quindi adotta strategie di delegittimazione: accuse di antisemitismo, usate contro Falk e Albanese per metterli in difficoltà; blocco dell'accesso, per negare l'ingresso nei Territori per limitare le indagini; pressioni diplomatiche con USA e alleati che cercano di far revocare i mandati.
Francesca Albanese non è un caso isolato: tutti i Relatori Speciali ONU per la Palestina sono stati osteggiati da Israele, perché il loro lavoro documenta violazioni sistematiche. Questo conferma che le critiche a Francesca Albanese rientrano in un pattern consolidato per silenziare chi contesta l'occupazione. Se Israele tratta questi esperti come "nemici", il problema non sono loro, ma ciò che documentano.
Il doppio standard nel trattare i relatori ONU
Le accuse contro Francesca Albanese non sono un fenomeno isolato, ma riflettono un più ampio doppio standard nel trattamento dei relatori ONU, come dimostrato dal confronto con altri contesti geopolitici. I relatori che indagano su violazioni commesse da Stati potenti o alleati dell’Occidente subiscono sistematiche campagne di delegittimazione, mentre quelli che si occupano di Paesi marginalizzati, come Myanmar o Corea del Nord, operano con minore ostilità. Ad esempio, Paulo Pinheiro, relatore ONU per la Siria, ha documentato crimini di guerra del regime di Assad senza subire sanzioni personali, nonostante le condanne formali di Damasco. Nel 2021, Kamel Jendoubi, a capo del Gruppo di Esperti ONU sullo Yemen, accusò l’Arabia Saudita di crimini contro l’umanità, ma Riyadh non riuscì a mobilitare lobby o governi stranieri contro di lui. Allo stesso modo, i rapporti sui Rohingya in Myanmar hanno portato a condanne internazionali senza rappresaglie dirette contro gli investigatori. Adama Dieng, relatore ONU per il Sudan, ha visitato il Darfur nel 2024 nonostante le ostilità, ricevendo cooperazione internazionale. Inoltre, il Sudan è sotto embargo militare dal 2022, mentre Israele riceve 3.8 miliardi annui in aiuti militari USA nonostante le documentate violazioni.
Il caso di Francesca Albanese dimostra come il conflitto israelo-palestinese sia un terreno complesso per i meccanismi di responsabilità internazionale, dove documentare violazioni scatena reazioni significative. Difendere Francesca Albanese significa difendere la possibilità stessa di una giustizia internazionale credibile, indipendente e fondata sui fatti.
From economy of occupation to economy of genocide – (A/HRC/59/23) Report of the Special Rapporteur on the situation of human rights in the Palestinian territories occupied since 1967 (Advance unedited version)